martedì, gennaio 02, 2007

AUTOIDENTITA' - parte prima


INTRODUZIONE

“Ci sarà posto domani, o forse, malgrado l’apparente contraddizione dei termini, c’è già posto oggi per una etnologia della solitudine. “ Marc Augé

I nonluoghi teorizzati da Augé sono nuclei attrattori, generatori di solitudine e di similitudine. Spazi frutto ed espressione completa della surmodernità. Estremo polare di una retta ideale che li oppone ai luoghi.
Nel mio ambito di studio trovo interessante analizzare i rapporti umani, le relazioni sviluppabili in tale contesto. Partendo dall’ultimo paragrafo del libro “Nonluoghi” di Marc Augé, in cui l’autore, che continua a professarsi un inguaribile ottimista, si lascia andare ad una visione indiscutibilmente triste. Una etnologia della solitudine.
Già ora, l’uomo contemporaneo si muove in un contesto di completa disomogeneità, riscontrabile: negli spazi in cui vive, in cui si muove, nelle persone, negli oggetti e all’interno di tutte queste. Si potrebbe pensare, che proprio grazie alla contaminazione, all’avvicinarsi delle diversità, le etnie si rafforzino e le ormai fragili identità si ricostruiscano (testimone di questo fenomeno sono le attualissime e preoccupanti dimostrazioni di neo-nazionalismo). In parte sarà così.
I nonluoghi come scritto in precedenza costringono alla similitudine e al confronto delle identità, proprio grazie alla necessità di dimostrarla. Lasciandosi alle spalle l’identificazione si gode del proprio anonimato immergendosi lentamente nelle acque calde di un contenitore concepito apposta per dialogare in un unico modo con molteplici identità, diverse e non relazionali/bili. Sei parte del nulla. Parte di tutto.
Le identità “classiche” (nazione, origine, lingua, ceppo sociale, etc.) sono destinate a levigarsi, a mischiarsi, sbriciolarsi, fino ad apparire singolarmente o globalmente. Parti diverse di un mosaico chiamato “umanità”. Le barriere destinate a cadere lasceranno spazio ad ogni singola “pura” identità personale, “autoidentità”, autoreferenziale e citazionista delle proprie molteplici identità (prodotte dalla surmodernità) ormai fuse e perse nelle immagini di se stesse. Spazio al proprio essere in quanto tale e non più in quanto parte di. Autoidentità in cui vive una nuova etnia frutto di una fusione in senso letterale di quelle alterità definite come l’altro sociale e l’altro intimo (vedi Marc Augé “Nonluoghi” capitolo 1 “Il vicino e l’altrove”). In tale scenario appaiono chiari i presupposti per una etnologia della solitudine. Quindi:“Chi fa da se fa per tre”, “meglio soli cha mal accompagnati”, “chi va con lo zoppo impara a zoppicare” ma anche: “due teste sono meglio di una”, “l’unione fa la forza” e soprattutto “uno per tutti, tutti per uno”. Quello che mi accingo ad analizzare è quindi l’altro lato della medaglia, il retro della solitudine, le possibili conseguenze.