martedì, ottobre 07, 2008

LA FINE DEL CAPITALISMO


TERMINA ORA LUNEDI 6 OTTOBRE 2008


COME VERRA' RICORDATO QUESTO GIORNO?



A COSA STIAMO ASSISTENDO?


E' FORSE L'INIZIO DELLA FINE DEL CAPITALISMO?

lunedì, settembre 22, 2008

GLI EFFETTI AMBIENTALI DELLE PERSONE

"I corpi come elemento architettonico"

[…] Per la prima volta nella storia dell’uomo, il numero dei viventi ha raggiunto il numero record di sei miliardi e mezzo di persone. Cinquanta anni fa eravamo poco più della metà, e tra mezzo secolo saremo abbondantemente oltre i dieci miliardi. Le presenze umane interrompono la prospettiva, creano flussi irripetibili di scene, non solo antropologiche, ma corporee. Sei miliardi e mezzo di persone, infatti, costituiscono una sorta di plancton orizzontale, avvolgente, che invade lo spazio e crea, per estensione e densità, una specifica esperienza visiva.

A. Branzi

Una discoteca è la gente che la frequenta o l’architettura della stessa? Cos’è una discoteca? Le fabbriche si suono svuotate e milioni di addetti vengono liberati nell’ambiente e lo costituiscono come una superficie multiforme e cangiante, nella quale agiscono e reagiscono tramite: fisionomie, qualità dell’abbigliamento, gesti relazionali, riti urbani, flussi comunicativi e migliaia di altre variabili che compongono l’uomo in se, in relazione con gli altri e con l’ambiente stesso. Chi progetta i luoghi per il suddetto “sciame umano”, dovrà constatare che il gesto progettuale unico e definitivo è oggi soppiantato da una diversità infinita di vibrazioni progettuali, che egli stesso ed ogni presente produce nello spazio con lo scopo di segnalare la propria ritrovata individualità, la sua energia creativa, cinetica, genetica.

Lo spazio cittadino si riempie di messaggi, odori, oggetti, prodotti e soprattutto persone che tolgono il primato dello spazio cittadino alla architettura. L’uomo invade gli spazi dando vita ad una vera e propria rivoluzione anarchico-informale dovuta semplicemente alla sua presenza. E’ quindi necessario ripensare la qualità di un ambiente secondo nuovi criteri meno fisici ma più volatili, relazionali?

venerdì, luglio 11, 2008

UTOPIA LIBERTA'

Individuo libero o Comunità sicura? Fai la tua scelta, sbaglierai in ogni caso. La modernità liquida ha dato i natali ad un nuovo simpatico pendolo antropologico. Ad una nuova linea sfumata. Gli antipodi sono LIBERTÀ e SICUREZZA.

"Roberta era una vecchia signora di 24 anni con il vizio del gioco. Testa e Croce erano le sue delizie. Beveva molto ed era sempre troppo o troppo poco idratata. Giocò per i successivi 24 anni senza saltare mai un solo giorno. Il suo gioco preferito dopo la roulette russa? Chiaramente Testa o Croce. Quella sera al bar era alle solite, succo di pompelmo e la buona e vecchia monetina da 100 lire. Primo tiro: Testa. Secondo tiro: Croce. Il terzo tiro si fermò in equilibrio sul bordo. BOOM!"

Come in ogni grande dualismo che si rispetti non esiste soluzione (è giusto cercarla?). I due lati della stessa medaglia libertà o sicurezza si contendono il primato? Una facciata esclude automaticamente l’altra? L’analisi fino ad ora ha delineato come “il pendolo” stia decisamente oscillando dal lato della libertà, privando così l’umanità della sicurezza che dopo la seconda guerra mondiale ha tanto ostinatamente ricercato.

Tale fatto ha dato luogo a reazioni le più differenti. Il comunitarismo risponde negandosi l’eccesso di libertà, schierandosi in tutto è per tutto dal lato della sicurezza. L’individualismo rivendica l’attuale condizione cercando di cavalcare l’onda giusta. Fuori dalla porta c’è il nichilismo.

La consapevolezza, la capacita di leggere la situazione per tirarsi fuori dal gioco in modo da avere la giusta visione dei fenomeni. Nichilismo non significa rinunciare a lottare, ma combattere secondo nuove regole, ancora non vigenti, ma più calzanti allo scenario in divenire. Studiare nuove rotte.

domenica, aprile 27, 2008

venerdì, aprile 11, 2008

L'UOMO

L’ Uomo La condizione antropologica

Nella Bibbia vi sono due termini che designano l'uomo:

* (ebr.) אדם (âdâm); (gr.) νθρωπος (anthrōpos); (lat.) homo. Designa l'uomo in generale, l'essere umano, come individuo ed anche come specie, in quanto si differenzia dagli animali, ma anche ha di comune con essi. אדם (âdâm) ha la stessa radice di אדמה ('ădâmâh), la terra, con allusione al colore dell'argilla אדם ('âdôm) essere rosso. בּן אדם (bên âdâm), figlio dell'uomo, designa il singolo, come figlio della specie umana, dell'umanità.

* (ebr.) אישׁ (îysh); (gr.) νήρ (anēr); (lat.) vir, l'uomo individuo, nella sua forza e nel suo valore. Questo concetto è anche espresso, quando si tratta di guerrieri, eroi, dal termine גּבּר (gibbôr), il forte; mentre il poetico אנשׁ ('ĕnash) soprattutto nell'espressione di Daniele בר אנשׁ (bar nâsha'), il "figlio dell'uomo".



Credo si possa tranquillamente dare una definizione di Uomo. Secondo Friedrich Nietzsche “l’Uomo è l’animale non ancora stabilizzato”. In questo saggio, in accordo con Arnold Gehlen e i maggiori pensatori occidentali, intendiamo l’Uomo come quel animale con una innata carenza biologica istintuale. Mi spiego.

L’Uomo, a differenza dell’animale nasce con numerose carenze fisiche ed istintuali. Tali carenze sono determinabili dalla sua scarsa specificità. È per questo che non nasciamo con uno scopo ben preciso e neanche con gli “strumenti” per raggiungerlo. Tutto ciò ci consente però di sviluppare quella (per paradosso) “specifica genericità” necessaria a spingerci all’Azione generatrice di Tecniche. Tecnica con la quale ci è permesso “svelare” l’Ambiente, trasformando la Natura in Mondo. Tecnica che così diventa la caratteristica fondamentale e distinguente dell’Uomo, l’unico vero modo attraverso il quale ci distinguiamo dall’animale.

Per esempio un granchio ha in dotazione le chele con le quali schiacciare le noci. Mentre l’Uomo non ha in dotazione, nel suo corpo, uno “strumento”che come le chele che gli permetterebbero di aprire le noci. Però, proprio grazie alla genericità della sua mano e al suo deficit istintuale ha, per mezzo della Azione, svelato una serie di procedure tecniche in grado di fargli progettare lo schiaccianoci.

In definitiva la Tecnica come essenza dell’Uomo con la quale riesce a sopravvivere nell’Ambiente svelando la Natura in Mondo. Ora, presa per buona questa definizione che riassume in una frase il rapporto esistente tra i tre capitoli di questa prima parte ho intenzione di spingere l’attenzione di questi tre “attori” (Uomo, Ambiente e Tecnica) verso un’analisi antropologica-filosofica posta in relazione al nuovo mondo della progettazione e del design.


Partenza , pronti , Via.


Ormai è assodato, ci muoviamo in uno scenario in perenne mutamento in cui diviene sempre più importante avere gli attrezzi giusti per muoversi, veloci. Navigare modificando continuamente assetto. Essere preparati a condizioni ambientali che si ripetono raramente e cambiano di continuo. Il sociologo Zigmunt Bauman nel libro Modernità Liquida traccia una lunga analisi dei processi di trasformazione del concetto di modernità all’inizio del XXI secolo. Liquido indica per Bauman l’idea di una fase della materia in cui essa non possiede una forma propria ma quella del suo contenitore. I fluidi non conservano mai a lungo la propria forma e sono sempre inclini a cambiarla, tendono quindi a non fissare lo spazio e non legare il tempo ma a seguire il flusso temporale delle trasformazioni.

I liquidi cercano sempre la forma che gli consente meno “stress” ed al contrario dei corpi solidi, che annullano il tempo, per i liquidi diviene l’elemento più importante. La straordinaria intuizione di Bauman consiste nel considerare la «fluidità» o la «liquidità» come metafore volte a comprendere la natura dell’attuale e per molti aspetti nuova fase nella storia della modernità. Nella fase liquida le particelle sono legate l’un l’altra tramite legami deboli e facilmente intercambiabili mentre la fase solida è caratterizzata da legami forti e fissi. Tale condizione, fuor di metafora simboleggia un processo di liquefazione dei “classici” termini come «sistema» o «società» per lasciare spazio alla «politica della vita», dal livello «macro» a quello «micro». Ne consegue una modernità individualizzata, privatizzata, in cui oneri ed onori ricadono sulle spalle dell’individuo.

Il XXI secolo è quindi caratterizzato da cambiamenti dal basso e per questo poco visibili ma al contempo sempre più profondi. L’ uomo senza quantità di Andrea Branzi è una figura che non ha coscienza dell’esistenza di fenomeni lenti e progressivi, che stanno cambiando silenziosamente l’intorno antropologico. Le grandi ideologie sono morte, frantumate in intellettualità singole, deboli ma diffuse ed in grado di cambiare le cose più profondamente perché ne minano le radici che, per definizione, sono difficili da vedere.

Sarebbe sciocco negare il profondo mutamento che tali condizioni hanno introdotto ed introdurranno nell’esistenza umana. Sarebbe stupido continuare a comportarsi secondo strutture di pensiero legate a solide fondamenta. Non avere le fondamenta o averle in perpetuo mutamento significa vivere nell’incertezza. Diventa possibile non sbagliare mai e di conseguenza non essere mai certi di essere nel giusto. Nulla distingue se una mossa è migliore di un’altra, tra le tante possibili, né prima né dopo. Il prezzo da pagare o il vantaggio che ne consegue è il dissolversi del pericolo di sbagliare. L’infinità perplessità, la totale indeterminazione, un’insaziabile incertezza.


sabato, febbraio 23, 2008

IDENTITA' ESPOLOSE

"Liberarsi dall’identità, annullare l’ego"


[…] In sociologia, nelle scienze etnoantropologiche e nelle altre scienze sociali il concetto di identità riguarda, per un verso, il modo in cui l'individuo considera sé stesso come membro di determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione, e così via; e, per l'altro, il modo in cui le norme di quei gruppi consentono a ciascun individuo di pensarsi, muoversi, collocarsi e relazionarsi rispetto a sé stesso, agli altri, al gruppo a cui afferisce ed ai gruppi esterni intesi, percepiti e classificati come alterità. Wikipedia

Le teorie dell'identità in passato sono sorte nell'ambito della logica identitaria aristotelica per cui A=A e non è possibile che A sia diverso da A. Oggi possiamo scrivere che l’antropologia ha distrutto a suon di realtà tutta la logica identitaria aristotelica.

Se identità significa letteralmente “essere sempre identico a se stesso” ci appare ben chiaro come l’intorno antropologico contemporaneo richieda l’affiancamento di aggettivi come: multiple, ambigue, ibride, esplose o sfumate. La ricerca di identità secondo Bauman è l’incessante lotta per arrestare o rallentare il flusso, di solidificare il fluido, di dare forma all’informe. L’identità diventa un abito, uno strato esterno e sottile di forma volto a mascherare l’interno liquido e mutevole. Con l’interno pronto a risucchiare l’abito per poi crearne di sempre nuovi, sempre scomodi, sempre fragili. Possiamo quindi paragonare il concetto di Identità ad un abito che ricerchiamo ancora affannosamente.

Facciamo shopping al supermercato (delle Identità) scegliendo “d’abito” a seconda del momento (casualmente?); per la bellezza (make-up, brand, orecchini, palestra, etc.) ma anche per la sua comodità (capacità di adattarsi in modo ottimale alle nostre Autoidentità). Tale ricerca, fuor di metafora, significa perpetuare continui cambi di identità con l’oramai abituale e positiva consapevolezza di non riuscire a trovare quella “giusta” (esiste?) se non per il preciso istante in cui la si concepisce. Il motivo di tale “benedetta tragedia” è che l’Ambiente (l’intorno, le alterità), visto nella indispensabile prospettiva temporale, è altrettanto mutevole. Siamo come liquidi dentro a liquidi. L’identità è quel sottile strato trasparente tra “liquido-Uomo” e “liquido-Ambiente” che cambia di continuo, ma che proprio grazie al suo contenuto/Autoidentità sempre diverso diventa in qualche modo ancora riconoscibile.

Nel Web 2.0 possiamo trovare applicazioni lampanti delle teorie sino ad ora enunciate. Dei veri e propri ambienti (mondi/spazi) come Myspace o Second Life ti consentono (in verità non ancora troppo liberamente) di operare infiniti cambiamenti di Avatar/Identità virtuale (avatar: presso la religione Induista, un Avatar è l'assunzione di un corpo fisico da parte di Dio, o di uno dei Suoi aspetti. Questa parola deriva dalla lingua sanscrita, e significa "disceso"; nella tradizione religiosa induista consiste nella deliberata incarnazione di un Deva, o del Signore stesso, in un corpo fisico al fine di svolgere determinati compiti. Questo termine viene usato principalmente per definire le diverse incarnazioni di Visnu, tra cui si possono annoverare Kṛṣṇa e Rama.A differenza del Cristianesimo e dello Śivaismo, i Vaishnava affermano che Dio si incarni ogni qualvolta avviene un declino dell'etica e della giustizia, unitamente all'insorgere delle forze demoniache che operano in senso opposto al Dharma. Il Signore Kṛṣṇa, Avatar di Viṣṇu, è famoso per aver pronunciato queste parole: « Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi e per ristabilire i princìpi della Giustizia Divina, Io mi incarno di era in era ») liberandosi così dalla orticante dittatura della Identità a favore di una nuova definizione del termine stesso, non più legato alla stucchevole separazione tra corpo e anima operata dapprima da Platone, poi dal cristianesimo e infine da Cartesio, ma ad una nuova e consapevole presa di coscienza del proprio corpo impegnato in una costante attività di produzione/consumazione di senso (“identità”).

Identità di cui non saremo mai sazi perché sia le componenti di contenuto/Autoidentità (in metafora la comodità dell’abito) che quelle di contenitore/Identità (in metafora la bellezza dell’abito) non possono che essere fissate o solidificate solo per qualche istante solo quando sono viste, per un attimo, dall’esterno. L’identità è una camicia di forza che ancora ci ostiniamo a ricercare. In qualche modo ci nasconde/protegge, non ci fa disperdere nel mare dalle alterità. Oceano verso il quale abbiamo un’inguaribile smania di assorbire e rigurgitare di tutto alimentando/ci così il processo, e via discorrendo.

Il “nichilista” (nichilismo è il processo per cui i concetti capitali della metafisica: essere, verità, realtà, ecc… si nullificano e si rivelano infondati) Rem Koolhaas proclama nel suo Junkspace:

[…] L’identità è una trappola in cui un numero sempre maggiore di topi deve dividersi l’esca originaria e che, osservata da vicino, forse è vuota da secoli. Più è forte l’identità, più è vincolante, più recalcitra di fronte alla espansione, alla contraddizione. L’identità diventa un faro, fisso, inflessibile: può cambiare la sua posizione o il segnale che emette solo a prezzo di destabilizzare la navigazione.

Probabilmente a breve si lascerà perdere qualsiasi discussione o domanda posta sull’identità considerandola semplicemente priva di senso. Il concetto stesso di identità si sta inesorabilmente svuotando, assume accezioni negative. Ma oggi (6 Novembre 2007) rimane comunque innegabile la propensione dell’uomo alla ricerca delle “facili identità”. Tali identità vengono vendute tramite l’identificazione in un Brand aziendale.

L’Uomo di Paul Smith piuttosto che La Donna di Valentino diventano modelli, profili identitari in cui specchiarsi o riconoscersi semplicemente pagando il prezzo dell’abito. La moda si avvale di questa “vendita della identità” proprio perché l’abito è divenuto per noi simbolo, metafora, rappresentazione fisica del nostro contenuto, della nostra Identità. Ma data l’intrinseca volatilità di tutte le nostre scelte, il grado di libertà dell’individuo diviene la possibilità di andare a fare shopping nel supermercato delle identità con quella leggerezza che ci consente di poter cambiare continuamente “d’abito“.

In tale contesto è giusto parlare del Super Uomo di Nietzsche.

[…] L'uomo nichilista è caduto nell'angoscia per aver scoperto che i fini assoluti e le realtà trascendenti non esistono. Ma l'uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso". Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l'uomo non avrebbe bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni, morali. L'umanità occidentale è passata purtroppo attraverso il cristianesimo e percepisce un senso di vuoto, conseguente alla "morte di Dio", e cioè al venir meno di ogni certezza metafisica (perdita totale del senso di vita), conseguente alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà il oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l'idea che l'Universo non ha un senso assoluto, anche dopo la scoperta della morte di Dio, l'umanità continuerà a cercare dei valori assoluti rimpiazzando il vecchio Dio con dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza, ecc… La mancanza, però, di un senso assoluto metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. È tuttavia possibile uscire dal nichilismo superando questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza(nichilismo attivo). L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, impone i propri significati e la propria volontà. Costui è il superuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso del testo Così parlò Zarathustra, Nietzsche mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell’"Io voglio", ed infine in un sacro "Dire di sì", espresso dalla figura del fanciullo giocondo. Wikipedia

Il quale sembra proprio diventare realtà proprio grazie al lento svuotarsi di senso della vita/tutto. Oggi è proprio il Super Uomo (l’Uomo) a prendere atto del suo potere nel dare senso al totalmente insensato, perché nessuno lo farà più al posto suo. Oggi la”volontà di potenza” trova reale applicazione.

L’io è morto. L’ego è morto. L’uomo è morto. La filosofia è morta. Tutto muore, anche se alla fine vuol dire nasce.

mercoledì, gennaio 23, 2008

CONSUMATTORE

L'azienda è il target del consumatore

l consumatore
è "la controparte non professionale dell'impresa" definizione del Prof. M. Bessone (Contratti del mercato e teorie del consumo, PD 1976, p. 621). “Colui che prende-toglie dal Mercato”.


La vita è ora (13 Gennaio 2007) organizzata intorno al consumo, è priva di norme. Guidata dalla seduzione (e ci torneremo), da desideri sempre maggiori e da capricci volubili. Una società dei consumi basata sul raffronto universale (e non più quello con il vicinato) ha come suo limite solo l’infinito. La principale preoccupazione è dunque quella dell’adeguatezza. Essere sempre pronti, cogliere al volo le nuove opportunità, sviluppare nuovi desideri, straordinarie e inaspettate seduzioni, darci dentro più di prima e non permettere mai che i bisogni consolidati bandiscano le sensazioni nuove o riducano la capacità di viverle e assorbirle. Continuare a correre, partecipare alla gara diventa la vera assefuazione, non il premio. E’ più importante avere sempre il cellulare più cool che avere quel cellulare. Nessuno dei prodotti o dei servizi presenti nel mercato è così seducente da togliere attrattiva verso gli altri. Secondo Bauman “Il desiderio diventa un obbiettivo fine a se stesso, l’unico obbiettivo incontestato ed incontestabile”.

L’onere più gravoso e irritante che i consumatori sono chiamati a sostenere è la necessità di stabilire delle priorità: il dover abbandonare alcune opzioni e lasciarle inesplorate. L’infelicità del consumatore nasce da un eccesso, non da una penuria, di scelte. “Ho utilizzato i mezzi a mia disposizione nel migliore dei modi?” è la domanda che ossessiona il consumatore.

Le regole del genio della lampada sono andate a farsi fottere, desidero altri desideri! Una corsa da obbiettivo in obbiettivo sospinti dal motore autoalimentante del desiderio. L’archetipo di tale particolare corsa è l’attività dello shopping. L’infinita ricerca del nuovo e migliore con cui l’Uomo si inserisce nel Mercato diventando consumatore. L’odierno consumismo non è più incentrato sul bisogno ma sul desiderio, una entità volatile e frivola, evasiva e capricciosa. Un desiderio che desidera solo altri desideri, come un cane che si morde la coda, come un obbiettivo che ha come obbiettivo altri obbiettivi. Ma oggi (13 Gennaio 2007) citando Bauman che cita Ferguson: laddove la facilitazione del desiderio era fondata su raffronto, sulla vanità, sull’invidia e sul bisogno di autoapprovazione, niente sostanzia l’immediatezza del capriccio. L’acquisto è casuale, imprevisto e spontaneo. Possiede la fantastica qualità di esprimere e al contempo soddisfare un capriccio, e come tutti i capricci, è insincero e bambinesco. Oggi (13 Gennaio 2007) abbiamo bisogno di uno strumento stimolante ancora più potente e versatile del desiderio per mantenere la domanda di consumo ad un livello adeguato alle sterminata offerta. Il capriccio è la soluzione. Il capriccio è la soluzione? Abbiamo quindi un nuovo consumatore che sceglie cosa “togliere” dal mercato secondo criteri nuovi non più legati al bisogno ma al desiderio ed infine il capriccio.


Il consumatore ha quindi con questi strumenti modificato il mercato e se stesso ponendo fine al suo noviziato diventando infinitamente più esigente, scaltro, selettivo, autonomo, competente, pragmatico, proattivo, infedele alla marca. Non più spinto dai bisogni ha sublimato la sua condizione da semplice comparsa ad attore protagonista. E’ nato un nuovo consumatore che ha cambiato pelle in cerca di esperienze più che prodotti, di emozioni e sensazioni più che valori d'uso. Generando inediti modelli di consumo, più simili al patchwork che alla linearità/prevedibilità del passato, di cui è necessario apprendere le regole. Nella postmodernità il consumo assume una crucialità simile a quella riconosciuta alla produzione nella fase della modernità. Il rischio, per chi produce (e quindi anche chi progetta) e vende, è non cogliere le straordinarie opportunità che la nuova centralità del consumo offre. Sembra una scherzo ma è tutto vero: l'azienda è il target del consumatore. E se lo dice Layla Pavone (presidente AIB Italia) possiamo crederci.


Una Citazione: Scrive FrËdËric Beigbeder nel suo libro che titola: Euro 13,89 (Feltrinelli): "Sono un pubblicitario: ebbene si, inquino l'universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C'è semrpe una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perchè la gente felice non consuma".


Un Esempio: David Weinberger e il marketing dal volto umano
Le nuove strategie di marketing, nell'era del web 2.0, devono partire dalla comprensione delle conversazioni.
Si è svolto a Milano lo IAB Forum 2007, il più importante evento per il mercato dei media interattivi. Il filo conduttore delle giornate è stato ben sintetizzato da Layla Pavone, presidente IAB Italia, nel titolo della sua presentazione: “Sesto potere ovvero quando l'azienda è il target del consumatore”.
Gli sviluppi tecnologici e l'evoluzione della comunicazione in rete hanno messo il consumatore al centro creando una situazione di “customer empowerment” che porta a riscrivere le regole del marketing.

David Weinberger: come Internet ha cambiato il marketing
Creatore, insieme a Chris Locke e a Doc Searls, del Cluetrain Manifesto la sua relazione è partita proprio dalla prima e famosissima tesi Markets are conversation, per descrivere come queste conversazioni debbano essere conosciute, osservate e rispettate. “Onorare la conversazione” è la traduzione letterale del messaggio che ha lanciato Weiberger.
I vecchi assunti di marketing vanno cambiati e, addirittura, rovesciati. Il controllo assoluto non può più essere l'obiettivo delle aziende e della comunicazione aziendale. E' finita, infatti, l'era del messaggio unidirezionale e, di conseguenza, è ormai superata la visione del marketing come guerra. Concetti consolidati quali colpire il target (bersaglio), penetrazione del mercato, campagne marketing, traevano dichiaratamente spunto da una terminologia bellica che oggi si rivela quanto mai inadeguata alle mutate condizioni.
Nell'era del web 2.0 non esiste più un confine preciso tra chi produce e chi subisce i contenuti, per cui il tradizionale concetto di autorità viene stravolto: tutto è indefinito (“Everything is miscellaneous” come il titolo del nuovo libro di Weinberger).

Che fare allora?
I suggerimenti esposti nella relazione sembrano apparentemente semplici ma sono, oggi, ancora lontanissimi dalla cultura media aziendale dominante.
Anziché ostacolare questo flusso d'informazioni, potenzialmente dannoso proprio in quanto incontrollato, le aziende dovrebbero assecondarlo, tramutandolo in una grande opportunità.
Lasciare, quindi, liberi sia i consumatori che le informazioni da questi generate permettendo loro di assumere potere: tutto ciò può trasformarsi in una grande risorsa a condizione di avere un atteggiamento chiaro, trasparente e onesto.

L'obiettivo è la reputazione
Il passaggio dal concetto di brand awareness a quello di brand engagement, passa necessariamente attraverso l'esperienza diretta della marca e la sua reputazione, che oggi costituisce il vero valore per un'azienda.
Stiamo, pertanto, assistendo ad una rivoluzione, come la definisce Weinberger in un'intervista alla Reuters, in cui si sbilancia ulteriormente parla della necessità di imparare a comunicare in modo diverso: “A mio giudizio, le aziende faranno la cosa giusta ammettendo il fatto basilare della loro umanità. E cioè che non sono perfette, sono molto umane, hanno motivi di interesse e devono affrontare il consumatori su questa base”.
Le aziende che sapranno cogliere questa sfida velocemente approcciandosi in modo nuovo ai consumatori sopravvivranno e si svilupperanno, pronte ad affrontare i nuovi scenari del web 3.0 o 4.0 di cui già si comincia a discutere.

mercoledì, gennaio 09, 2008

JUNKSPACE – tutto nasce tutto muore tutto...

"Il cambiamento è stato staccato dall'idea di miglioramento. Il progresso non c'è più; la cultura barcolla di lato senza sosta, come un granchio fatto di Lsd..."
Junkspace è un libro ed un concetto elaborato da Rem Koolhaas. Il Junkspace è ciò che resta mentre la modernizzazione (e/o la sur-modernizzazione) fa il suo corso, è la somma complessiva di tutte le sue conquiste espulse come in un rigurgito nel nostro Ambiente. Nasce dalla necessità di avere il massimo nel minimo tempo, nasce dall’esigenza di rincorrersi senza pause, nasce da scelte e da dinamiche su cui l’architetto o il designer, come li conosciamo oggi, non hanno alcuna influenza. Il Junkspace è una sorta di tendenza sia fisica che metafisica che porta alla morte del progetto cibandosene voracemente. Si può definire come una sorta di perenne brain-storming volto alla costruzione e ricostruzione del Mondo nel quale nulla è importante.

Copiando direttamente dal retro del libro (tra)scrivo che qui il rapporto fra storia e identità (fra «destino e carattere», direbbe Benjamin) viene smascherato crudelmente: «L’identità concepita come questo modo di condividere il passato è un’affermazione perdente: non solo in un modello stabile di continua espansione demografica c’è proporzionalmente sempre meno da condividere, ma la storia stessa possiede una emivita (L'emivita è una misura della stabilità di un isotopo: più breve è l'emivita, meno stabile è l'atomo) odiosa: più se ne abusa meno si fa significativa, finché i suoi vantaggi depauperati diventano dannosi. Questo assottigliamento viene esasperato dalla massa in costante crescita di turisti, una valanga che, alla ricerca perpetua del “carattere”, macina identità di successo fino a ridurle in polvere senza significato». E la risposta a tutto questo non può essere l’ormai usurato concetto di Nonluogo, ma qualcosa di più vasto. Il Junkspace.

Il Junkspace come una sorta di Mondo-Nonluogo in cui la morte dei progetti fa da concime per il nuovo, per un perenne proliferare incontrollato perché troppo esteso ed impalpabile. E’ forse il frutto futuro della modernità debole e diffusa di Andrea Branzi? Il Junkspace agisce sulla tua percezione del tempo e dello spazio rendendoti incerto sul dove sei e in che periodo storico. E’ nato da se stesso per disorientarti e liberarti dalla gabbia del significato. Nel Junkspace nulla ha più senso se non nel stesso Junkspace “…riflessi narrativi che fin dall’inizio dei tempi ci hanno permesso di collegare punti, colmare vuoti, sono ora rivolti contro di noi: non possiamo smettere di osservare: nessuna sequenza è troppo assurda, banale, insignificante, offensiva… Attraverso il nostro vecchio apparato evolutivo, il nostro insopprimibile spazio d’attenzione, registriamo senza scampo informazioni, formuliamo giudizi, spremiamo significato , leggiamo intenzioni; non possiamo smettere di ricavare un senso dal totalmente insensato…”.

Nella fotosopra un progetto nato dal Junkspace durante
l'occupazione di uno stand al Salone Satellite di Milano 2007

Il Junkspace esplora la natura architettonica della Città Generica condannando definitivamente tutta la cultura architettonica del XX secolo che ha cercato invano di resistere alla modernizzazione tramutando il mito dello spazio in un alibi per riempire gli edifici «di scoperte, di intenzioni grandi e piccole, di desideri, di cose, di colore o almeno di vernice», sublimando gli effetti. Effetti che rimanendo incontrollati producono Junkspace, il quale si identifica nella essenza dello spazio, essere e non apparire. E’ la maglia che tiene insieme gli infiniti elementi di un Mondo complesso, che non può avere un potere simbolico in ognuno dei suoi elementi singolarmente, ma diventa rilevante e simbolico solo nella sua totalità, diventa Junkspace.

Installazione temporanea realizzata durante il
Salone del Mobile '07 all'interno del Politecnico di Milano

Nel Junkspace puoi trovare di “tutto”, anche “…un ecofascismo benigno che colloca un raro esemplare di tigre siberiana in una foresta di slot machines, vicino ad Armani, nel mezzo di un perverso barocco arboreo…”, ma diventa interessante constatare come proprio la creatività, necessaria al mondo del progetto, si ciba di questo “tutto” il quale è in grado di fornire infinite fonti di ispirazione. Ci illudiamo quindi di essere creativi mentre è lo stesso Junkspace a farci diventare tali, prima ci sazia poi però non si fa scrupoli nel negarci il cibo. Il prezzo da pagare è la morte dell’ego e di striscio dell’architettura e del design come li conosciamo ora. Nel Junkspace non c’è spazio per l’autore, non ne ha bisogno.

E la cosa incredibile è che non ce ne siamo accorti!


mercoledì, novembre 07, 2007

RESIGN by DO nucleo culturale



Le premesse

Nel 2007 è stato presentato un nuovo progetto ogni 3 minuti e mezzo e il numero dei designer cresce esponenzialmente di anno in anno. E’ sempre più difficile giustificare la ricerca di nuove possibilità da applicare agli oggetti. Abbiamo di gran lunga soverchiato il sovraffollamento seriale del pop con un incredibile e forse non richiesta abbondanza concettuale: gli oggetti non solo sono tantissimi, ma sono tutti portatori di vari messaggi, di tante logiche, di tanti punti di vista. La tecnologia e la conoscenza mediamente possedute da designer ed architetti porta quasi necessariamente alla creazione di prodotti di un certo valore merceologico, ben più difficile è conferire valore simbolico diverso dall’esclusività. La creazione di valore nel mercato deriva sempre più dalla creazione di valore simbolico, identitario esperienziale, tanto da far parlare di una economia della conoscenza in cui il valore attribuito ad un oggetto dipende sempre più dal contenuto intrinseco in termini di know how e dal significato interpersonale che gli viene attribuito.


L’approccio

Questi sono solo alcuni dei dati che evidenziano l’aumento della complessità che caratterizza lo scenario socio-economico attuale. La crescita esponenziale di flussi di persone, di idee, di informazioni ha causato un cambiamento radicale nella concezione delle categorie di spazio e tempo, principi attraverso i quali le persone attribuiscono senso all’esperienza, individuale e collettiva. La progressiva diminuzione della distanza, fisica e sociale, delle persone ha generato quello che potremo definire “brain storming globale”: ovvero la situazione in cui sempre più individui, potendo accedere, anche autonomamente, ad una quantità di informazioni sempre

crescente, costruiscono percorsi di senso individuali, soluzioni adattative autoreferenziali alla complessità del sistema sociale. Questo processo, caratteristico della post-modernità, agisce simultaneamente in una doppia direzione: da un lato, libera definitivamente l’individuo dai vincoli caratteristici del passato, consentendogli di sperimentare esperienze e percorsi di senso sempre possibili altrimenti; dall’altro, limita la possibilità di creare un sistema stabile di significati attraverso il quale giungere ad una rappresentazione coerente della realtà. L’eccessiva frammentazione di significati che siamo chiamati a gestire nel lavoro e nelle relazioni interpersonali limita la possibilità di giungere ad identità forti, capaci di resistere di fronte ai molteplici significati attribuibili all’esperienza.

Alla grande proliferazione di idee a cui stiamo assistendo, spesso coerenti fra loro ma isolate, è accompagnata una grossa dispersione di energie creative causata dal fatto che l’eccessiva autoreferenzialità non permette una cumulatività e una complementarità delle conoscenze, indispensabile per gestire la complessità del contesto socio-economico contemporaneo e giungere a soluzioni realmente innovative. Le incongruenze caratteristiche del post-fordismo possono essere risolte solamente adottando un paradigma nuovo, reticolare, basato su un tipo di razionalità non più strumentale ma riflessiva, che tenga in considerazione il potenziale impatto dell’azione umana

sull’ambiente, sociale e naturale, valorizzi l’importanza delle relazioni attraverso la complementarietà delle competenze e il processo di propagazione/democratizzazione della conoscenza.


Il metaprogetto

Lo scenario precedentemente rappresentato, caratterizzato in ultima analisi da una grande ricerca di significati ad alto valore identitario, suggerisce che oggi conviene concentrarsi, più che sugli oggetti e sui progetti, sui processi e sulle relazioni rispetto alle quali i progetti divengono delle conseguenze. Il metaprogetto REsign prefigura una sorta di rivoluzione copernicana per la quale il processo progettuale, da strumento al servizio della produzione, diventa mezzo per l'instaurarsi di relazioni sensate: il senso di un oggetto non sarà quello di essere più o meno bello ma nella capacità che avrà di porsi come "creatore" di relazioni dense e ad alto contenuto identitario. In quest’ottica, REsign è una metodologia che si propone di adottare un approccio sostenibile alla progettazione sia da un punto di vista relazionale/sociale che ambientale.

Tale metodologia si basa essenzialmente su tre principi inspirati alla logica della riflessività:

  • L’importanza di incanalare la creatività diffusa in percorsi di senso condivisibili.
  • L’importanza, in termini identitari e di capitale simbolico, dell’esistenza di una rete di relazioni dense.
  • La necessità di rivedere le modalità di progettazione verso la sostenibilità, considerando preventivamente l’ennesimo potenziale riuso di un oggetto e il suo impatto sull’ambiente naturale e sociale.

Resign è quindi “riuso dei segni”, una ricombinazione creativa dei segni di cui sono permeati gli oggetti dimessi e scartati dal processo produttivo main stream al fine di generare, attraverso il riuso, nuovo significato ad alto valore identitario e interpersonale.

Resign è un metaprogetto composto da:


  • Un Atelier in cui sperimentare il modello della “Bottega 2.0” basato su metodologie di lavoro innovative inspirate ad una logica riflessiva, incentrate sulla trasmissione e sulla condivisione del sapere, sulla democratizzazione della conoscenza, sulla rivalutazione della lavorazione manuale e sulla creazione di relazioni dense, faccia a faccia, ad alto contenuto identitario.
  • Un Network di relazioni basato sull’importanza strategica della complementarità delle competenze quando si agisce in un contesto complesso come quello attuale. Tale rete, di cui l’Atelier rappresenta un nodo, è formata dai legami fra soggetti che possiedono competenze differenti e che provengono da contesti diversi. L’alto livello di eterogeneità dei soggetti coinvolti, se opportunamente gestito al fine di indurre tali soggetti ad agire secondo una logica di sistema integrato, diviene strategicamente rilevante nell’ottica di implementare una metodologia di progettazione come quella perseguita. In questo senso Resign rappresenta ciò che emerge dalle relazioni fra i soggetti coinvolti e che supera la loro semplice somma.

Rappresentazione del network:



Finalità

Il Network fornisce all’ Atelier gli input, in termini di risorse cognitive, umane e materiali, necessari per intraprendere le seguenti attività/servizi:


  • Educazione: attraverso seminari, workshop e laboratori rivolti alla cittadinanza e riguardanti i principi che caratterizzano l’approccio di REsign.
  • Formazione: attraverso stage e tirocini realizzati in collaborazione con istituti e studi di grafica, design e architettura.
  • Ricerca: per aumentare costantemente le conoscenze possedute dagli attori che costituiscono il network nell’ottica del miglioramento continuo.
  • Consulenza e progettazione (spin-off della ricerca): l’Atelier ha come obiettivo quello di generare un’impresa creativa impegnata nella realizzazione di oggetti ed allestimenti commissionati da soggetti terzi.

I servizi e i prodotti realizzati verranno immessi nel mercato attraverso canali innovativi, differenti dalla semplice vendita (scambio simultaneo di equivalenti) ed incentrati sulla creazione di un legame diacronico e biunivoco fra le parti.
Alcuni esempi di modalità utilizzabili sono: scambio ad abundanziam, oggetto liberato, mostre praticate, aste, progettazione partecipata, progettazione a domicilio.

Format attivo nella città di Faenza



Network esistente




Contatti


Resp. Atelier: Andrea Magnani
Tel.: +39 3393022824

Resp. Organizzativo: Pier Carlo Masotti
Tel.: +39 3294199467

Sede: via Mura Mittarelli 34
48018 Faenza (Ra), Italia

Web: www.resign.it
info@resign.it


A project by:
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Via Mura Mittarelli, 34
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