sabato, febbraio 23, 2008

IDENTITA' ESPOLOSE

"Liberarsi dall’identità, annullare l’ego"


[…] In sociologia, nelle scienze etnoantropologiche e nelle altre scienze sociali il concetto di identità riguarda, per un verso, il modo in cui l'individuo considera sé stesso come membro di determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione, e così via; e, per l'altro, il modo in cui le norme di quei gruppi consentono a ciascun individuo di pensarsi, muoversi, collocarsi e relazionarsi rispetto a sé stesso, agli altri, al gruppo a cui afferisce ed ai gruppi esterni intesi, percepiti e classificati come alterità. Wikipedia

Le teorie dell'identità in passato sono sorte nell'ambito della logica identitaria aristotelica per cui A=A e non è possibile che A sia diverso da A. Oggi possiamo scrivere che l’antropologia ha distrutto a suon di realtà tutta la logica identitaria aristotelica.

Se identità significa letteralmente “essere sempre identico a se stesso” ci appare ben chiaro come l’intorno antropologico contemporaneo richieda l’affiancamento di aggettivi come: multiple, ambigue, ibride, esplose o sfumate. La ricerca di identità secondo Bauman è l’incessante lotta per arrestare o rallentare il flusso, di solidificare il fluido, di dare forma all’informe. L’identità diventa un abito, uno strato esterno e sottile di forma volto a mascherare l’interno liquido e mutevole. Con l’interno pronto a risucchiare l’abito per poi crearne di sempre nuovi, sempre scomodi, sempre fragili. Possiamo quindi paragonare il concetto di Identità ad un abito che ricerchiamo ancora affannosamente.

Facciamo shopping al supermercato (delle Identità) scegliendo “d’abito” a seconda del momento (casualmente?); per la bellezza (make-up, brand, orecchini, palestra, etc.) ma anche per la sua comodità (capacità di adattarsi in modo ottimale alle nostre Autoidentità). Tale ricerca, fuor di metafora, significa perpetuare continui cambi di identità con l’oramai abituale e positiva consapevolezza di non riuscire a trovare quella “giusta” (esiste?) se non per il preciso istante in cui la si concepisce. Il motivo di tale “benedetta tragedia” è che l’Ambiente (l’intorno, le alterità), visto nella indispensabile prospettiva temporale, è altrettanto mutevole. Siamo come liquidi dentro a liquidi. L’identità è quel sottile strato trasparente tra “liquido-Uomo” e “liquido-Ambiente” che cambia di continuo, ma che proprio grazie al suo contenuto/Autoidentità sempre diverso diventa in qualche modo ancora riconoscibile.

Nel Web 2.0 possiamo trovare applicazioni lampanti delle teorie sino ad ora enunciate. Dei veri e propri ambienti (mondi/spazi) come Myspace o Second Life ti consentono (in verità non ancora troppo liberamente) di operare infiniti cambiamenti di Avatar/Identità virtuale (avatar: presso la religione Induista, un Avatar è l'assunzione di un corpo fisico da parte di Dio, o di uno dei Suoi aspetti. Questa parola deriva dalla lingua sanscrita, e significa "disceso"; nella tradizione religiosa induista consiste nella deliberata incarnazione di un Deva, o del Signore stesso, in un corpo fisico al fine di svolgere determinati compiti. Questo termine viene usato principalmente per definire le diverse incarnazioni di Visnu, tra cui si possono annoverare Kṛṣṇa e Rama.A differenza del Cristianesimo e dello Śivaismo, i Vaishnava affermano che Dio si incarni ogni qualvolta avviene un declino dell'etica e della giustizia, unitamente all'insorgere delle forze demoniache che operano in senso opposto al Dharma. Il Signore Kṛṣṇa, Avatar di Viṣṇu, è famoso per aver pronunciato queste parole: « Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi e per ristabilire i princìpi della Giustizia Divina, Io mi incarno di era in era ») liberandosi così dalla orticante dittatura della Identità a favore di una nuova definizione del termine stesso, non più legato alla stucchevole separazione tra corpo e anima operata dapprima da Platone, poi dal cristianesimo e infine da Cartesio, ma ad una nuova e consapevole presa di coscienza del proprio corpo impegnato in una costante attività di produzione/consumazione di senso (“identità”).

Identità di cui non saremo mai sazi perché sia le componenti di contenuto/Autoidentità (in metafora la comodità dell’abito) che quelle di contenitore/Identità (in metafora la bellezza dell’abito) non possono che essere fissate o solidificate solo per qualche istante solo quando sono viste, per un attimo, dall’esterno. L’identità è una camicia di forza che ancora ci ostiniamo a ricercare. In qualche modo ci nasconde/protegge, non ci fa disperdere nel mare dalle alterità. Oceano verso il quale abbiamo un’inguaribile smania di assorbire e rigurgitare di tutto alimentando/ci così il processo, e via discorrendo.

Il “nichilista” (nichilismo è il processo per cui i concetti capitali della metafisica: essere, verità, realtà, ecc… si nullificano e si rivelano infondati) Rem Koolhaas proclama nel suo Junkspace:

[…] L’identità è una trappola in cui un numero sempre maggiore di topi deve dividersi l’esca originaria e che, osservata da vicino, forse è vuota da secoli. Più è forte l’identità, più è vincolante, più recalcitra di fronte alla espansione, alla contraddizione. L’identità diventa un faro, fisso, inflessibile: può cambiare la sua posizione o il segnale che emette solo a prezzo di destabilizzare la navigazione.

Probabilmente a breve si lascerà perdere qualsiasi discussione o domanda posta sull’identità considerandola semplicemente priva di senso. Il concetto stesso di identità si sta inesorabilmente svuotando, assume accezioni negative. Ma oggi (6 Novembre 2007) rimane comunque innegabile la propensione dell’uomo alla ricerca delle “facili identità”. Tali identità vengono vendute tramite l’identificazione in un Brand aziendale.

L’Uomo di Paul Smith piuttosto che La Donna di Valentino diventano modelli, profili identitari in cui specchiarsi o riconoscersi semplicemente pagando il prezzo dell’abito. La moda si avvale di questa “vendita della identità” proprio perché l’abito è divenuto per noi simbolo, metafora, rappresentazione fisica del nostro contenuto, della nostra Identità. Ma data l’intrinseca volatilità di tutte le nostre scelte, il grado di libertà dell’individuo diviene la possibilità di andare a fare shopping nel supermercato delle identità con quella leggerezza che ci consente di poter cambiare continuamente “d’abito“.

In tale contesto è giusto parlare del Super Uomo di Nietzsche.

[…] L'uomo nichilista è caduto nell'angoscia per aver scoperto che i fini assoluti e le realtà trascendenti non esistono. Ma l'uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso". Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l'uomo non avrebbe bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni, morali. L'umanità occidentale è passata purtroppo attraverso il cristianesimo e percepisce un senso di vuoto, conseguente alla "morte di Dio", e cioè al venir meno di ogni certezza metafisica (perdita totale del senso di vita), conseguente alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà il oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l'idea che l'Universo non ha un senso assoluto, anche dopo la scoperta della morte di Dio, l'umanità continuerà a cercare dei valori assoluti rimpiazzando il vecchio Dio con dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza, ecc… La mancanza, però, di un senso assoluto metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. È tuttavia possibile uscire dal nichilismo superando questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza(nichilismo attivo). L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, impone i propri significati e la propria volontà. Costui è il superuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso del testo Così parlò Zarathustra, Nietzsche mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell’"Io voglio", ed infine in un sacro "Dire di sì", espresso dalla figura del fanciullo giocondo. Wikipedia

Il quale sembra proprio diventare realtà proprio grazie al lento svuotarsi di senso della vita/tutto. Oggi è proprio il Super Uomo (l’Uomo) a prendere atto del suo potere nel dare senso al totalmente insensato, perché nessuno lo farà più al posto suo. Oggi la”volontà di potenza” trova reale applicazione.

L’io è morto. L’ego è morto. L’uomo è morto. La filosofia è morta. Tutto muore, anche se alla fine vuol dire nasce.